«Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo», diceva Gandhi. E questo è il momento di essere il cambiamento che vogliamo. Perché le cose sembrano impossibili, finché non vengono fatte.
L’Italia ha accumulato un enorme ritardo in tema di famiglia. Abbiamo un profilo demografico insostenibile.
Molti anziani, pochi bambini. Metter su famiglia nel nostro Paese rimane un’impresa che ha dell’eroico. Le misure di sostegno economico – seppure cresciute – non sono ancora diventate strutturali, mentre mancano o sono troppo costosi alcuni servizi essenziali (a cominciare dagli asili nido).
Ci sono troppi bambini poveri e troppi adolescenti che escono dal percorso scolastico. Le fragilità della famiglia si sommano a quelle delle nostre istituzioni formative determinando un danno umano, sociale ed economico destinato a pesare negli anni. E nonostante i loro titoli di studio siano mediamente più elevati, le donne in Italia lavorano molto meno che all’estero. Il part-time fatica a diffondersi, ma soprattutto manca una vera cultura dell’armonizzazione tra lavoro e famiglia. La pandemia rischia di aggravare ancora di più questi problemi, rendendoli insolubili. E compromettendo così il futuro stesso del Paese. Ma potrebbe davvero essere l’occasione per dare una spallata al muro ideologico che ha fino ad oggi impedito di considerare la famiglia per quello è: un soggetto sociale di vitale importanza per tutta la collettività.
Nelle scorse settimane, di fronte all’emergenza, la famiglia ha svolto un lavoro enorme: è stata scuola, ufficio, chiesa, ristorante, ma soprattutto alleanza tra generi e generazioni, luogo di custodia degli affetti e delle speranze. Non sempre è stato facile gestire in pochi metri quadri la vita insieme. In alcuni casi è scoppiata la violenza. Ma nella stragrande maggioranza dei casi ci si è aiutati, sopportati, supportati. Famiglia risorsa e non problema, dunque.
Chiamata a mettere in campo le sue risorse quando serve, è capace di farlo, come si è visto.
Ma adesso che siamo alle soglie della Fase 2 la famiglia rischia di tornare a essere un fantasma. Le scuole non riaprono, le fabbriche e molti uffici sì.
Sappiamo che i nonni sono fuori gioco. Chi si prenderà cura dei minori?
Le imprese non devono chiudere e i lavoratori hanno bisogno di un salario.
Ma le famiglie devono vivere. Eppure, quasi come un copione che si ripete sempre allo stesso modo, si pensa a tutto salvo che alla vita famigliare.
Creando addirittura un pasticcio giuridico: dato che esiste il reato di mancata custodia del minore, come si potrà gestire questa contraddizione?
Il governo ha preso alcune iniziative lodevoli in questi mesi. Ha introdotto nuove regole sul congedo. Ha stanziato le prime risorse per sostenere le famiglie con figli. Ma adesso serve un passo in più: rendere queste decisioni parte di una strategia integrale che riconosca finalmente il ruolo fondamentale della famiglia nel costruire modelli di vita sostenibili.
Se la risposta alla pandemia deve servirci per abbattere quei muri e quelle resistenze che sono all’origine del declino dell’Italia, il tema della famiglia è certamente tra le ricchezze da valorizzare.
Sono state previste giustamente risorse per lavoratori e imprese. Ma qual è il posto delle famiglie in questo disegno per la ripartenza? È stato adottato uno strumento per favorire i congedi nella fase della emergenza. Ma perché non fare di questo primo passo una leva per ragionare in modo sistemico su smart working, part-time, congedi?
Se non si può aprire la scuola, si snelliscano le procedure burocratiche per mettere in piedi attività per supportare i genitori che lavorano: ad esempio promuovendo un censimento degli spazi disponibili per attività formative e ricreative che consentano di mantenere le distanze; riconoscendo come tirocinio l’eventuale lavoro di studenti di scienze dell’educazione in servizi educativi; invitando le associazioni, le parrocchie, il Terzo settore a ripensare l’offerta per i ragazzi nel corso della bella stagione, attraverso campi estivi che non siano tappabuchi ma occasioni per una vera sperimentazione educativa. Potrebbero nascere cose belle. Infine, è stata annunciata l’estensione in via “straordinaria” dell’attuale “assegno di natalità” ai figli almeno fino ai 14 anni di età. Non è sicuro che accada. Ma deve accadere. Una politica per la famiglia non può che essere “ordinaria”, cioè strutturale. Ed è questo il momento per introdurre un assegno universale che, davanti al futuro incerto, dica alle nuove generazioni: non abbiate paura, l’intera comunità nazionale è con voi quando correte l’avventura della vita. Quello che abbiamo imparato in questo dramma non ancora concluso è che la famiglia è un punto di sintesi, un crocevia di questioni cruciali per un Paese avanzato: dal lavoro alla sanità all’educazione alla tutela dell’ambiente. Anziché prendere misure in astratto e poi cercare di dare qualche piccolo aiuto alle famiglie sia questa l’occasione per fare della famiglia il punto di partenza concreto e “integrale” per sviluppare uno sguardo nuovo che non solo non frenerà, ma darà impulso alla ripartenza. Le famiglie hanno sostenuto l’Italia nell’emergenza, sono state vere scuole di resilienza. Ripartiamo da qui, perché le famiglie riconosciute e sostenute sosterranno l’Italia.