Tutti i sondaggi ci dicono che la famiglia rimane il valore di riferimento fondamentale per la maggioranza degli italiani. Un valore concreto che, anche negli ultimi dati appena pubblicati sulle prestazioni di cura dei malati in stato vegetativo permanente, si traduce in una quotidiana ma ugualmente straordinaria capacità di dedizione. Prendersi cura del proprio caro fino alla fine, al di lá di qualunque altra considerazione.
Dovremmo considerare il lato straordinario di tale notizia: nonostante tutto, l’audacia dell’amore continua a esistere!In effetti, qui da noi, così come in altri paesi cattolici, la famiglia rimane al centro della vita sociale. Una caratteristica che, in paesi di cultura protestante, viene guardata con sospetto. Tant’è vero che spesso si ricorre all’espressione ”familismo amorale” per indicare le degenerazioni a cui il nostro modello sarebbe (necessariamente) votato.
Un’accusa che spesso non è facile da respingere. Soprattutto laddove la centralità della famiglia si contrappone allo stessa dimensione pubblica. Con il risultato di dannegggiare le basi del bene comune. In questi paesi, una concezione iperindividualistica della vita spinge ad organizzare servizi con lo scopo di sostituire la famiglia: tutto (o quasi) funziona anche laddove la famiglia non c’è.
L’Italia contemporanea sta da qualche parte tra il tradizionale modello familistico – che in larga parte non c’è più – e il “moderno” modello individualista. Il problema ê che, incapace di tratteggiare un nuovo modello di riferimento, rimane schiacciata da una doppia fatica.Le ricerche, infatti, fanno emergere la pressione a cui è sottoposta la famiglia italiana.
Da un lato, essa non ha servizi o trasferimenti. Dall’altro, essa continua prendersi cura dei suoi membri. Ma così non si può più andare avanti. La famiglia rischia di morire per soffocamento.Il tema è propriamente politico. Quale centralità vogliamo dare alla famiglia? Pensiamo che il prendersi cura dei propri figli e dei propri genitori sia una attività di serie B? Desideriamo delegare questo lavoro a sistemi impersonali oppure intendiamo continuare a dare spazio a questo tipo di attivitá, nella convinzione che da lì passi una parte della nostra umanità?
Molte voci suggeriscono che la strada da prendere è quella della efficientizzazione dei servizi a sostegno di una crescente individualizzazione.Io penso, invece, che la strada da battere, soprattutto in italia, sia una terza via tra familismo tradizionale – ormai insostenibile e soprattutto indifendibile – e individualismo estremizzato – che impoverisce le nostre vite.Scegliere questa strada significa, però, una cosa molto precisa: e cioè che la famiglia deve diventare un capitale su cui investire. Per capire di che cosa parlo, pensiamo un momento al caso dell’ambiente naturale.
Con gli anni abbiamo imparato a capire che la natura non può essere considerata come un fondo illimitato da cui è possibile estrarre e verso cui è possibile scaricare tutto ciò che vogliamo. Abbiamo imparato che la natura va rispettata e che la sua salvaguardia ê un dovere che ci deriva dalla responsabilità verso le nuove generazioni e dalla consapevolezza che la nostra vita sarebbe più povera senza il conforto della bellezza che troviamo in un bosco, su una montagna, in un lago.
Dobbiamo imparare a fare lo stesso per la famiglia. Che non va più pensata come un fondo indistinto da sfruttare, fino a farlo schiattare. Ma un bene, o se si preferisce un valore, che va valorizzato e continuamente ricreato. Così da rendere la nostra vita più bella, nella piena continuità con la nostra tradizione.Come per il rispetto della natura, così il rispetto del legame famigliare ê un vincolo che, secondo i critici, rallenterebbe l’economia. Ma l’ argomento è sbagliato. Assumere un vincolo non ê rinunciare alla crescita. È, piuttosto, l’occasione per sollecitare , orientandola, la nostra innovazione.