Presidente di Illumia S.p.A. nata a Bologna nel 2006 come DSE srl, con 200.000 clienti serviti su tutto il territorio nazionale, tra famiglie, enti pubblici, professionisti, condomini, ILLUMIA raggiunge nel 2013 un fatturato di 500 milioni di euro che arriva a 570 milioni nel 2014 Mi capitò tre anni fa di ascoltare a una conferenza l’intervento di un detenuto del carcere di Padova che parlava del suo lavoro al call center che la cooperativa Giotto aveva aperto in quel luogo. Rimasi allora colpito dalla posizione umana di quell’uomo: ciò che per altri operatori era motivo di frustrazione diventava per lui una ragione di riscatto sociale, di utilità e di dignità.
Allora non avevo in mente alcuna collaborazione, ma la curiosità che questa esperienza mi aveva suscitato fu una ragione sufficiente per chiedere informazioni sulla Giotto e sul lavoro che stava facendo con i detenuti. Il mio interesse era duplice, volevo sapere cosa aveva reso possibile quello sguardo sul lavoro e poi verificare se con Giotto e i suoi collaboratori era possibile risolvere un problema della mia società.
Illumia – questo è il suo nome – vendendo energia elettrica e gas, opera come tante altre aziende nel settore del mass market, ricorrendo molto spesso a dei call center per le attività di controllo delle vendite, per fidelizzare i clienti e, talvolta, per attività di teleselling. Normalmente l’utilizzo di call center italiani o esteri è un’attività molto impegnativa, poiché la qualità dei servizi resi è molto discutibile, il prezzo del servizio è alto e il rapporto fra i costi e i benefici è molto spesso negativo.
Le ragioni di questo fatto sono essenzialmente due: a) il lavoro è assai ripetitivo e gli interlocutori sono quasi sempre maldisposti; b) esso è normalmente svolto da personale laureato, che considera un ripiego declassificante l’attività al call center. Andai quindi a Padova ad incontrare i responsabili della Giotto e poi anche i detenuti che erano coinvolti nei diversi appalti che la cooperativa aveva ottenuto. Nacquero così le prime commesse affidate alla Giotto. Queste avevano per oggetto lo svolgimento di una serie di telefonate ai nuovi clienti con lo scopo di verificare se gli agenti commerciali avevano seguito il protocollo di vendita concordato o avevano effettuato vendite “più aggressive”, come talvolta accade.
Quando proposi ai miei dipendenti di recarsi in carcere per formare gli operatori di questo nuovo call center e di affidare loro compiti di controllo per evitare truffe, trovai una grande resistenza.
L’obiezione più grande era relativa alla stravaganza di usare delle persone che avevano violato la legge, anche in modo grave, proprio per “moralizzare” la nostra attività commerciale. Ricordo bene che nel viaggio da Bologna, dove abbiamo la sede principale della società, a Padova solo il mio grado gerarchico imponeva un certo rispetto per l’idea.
Tutto cambiò dopo l’incontro con i detenuti-lavoratori. La prima cosa che colpì i miei e confermò me nella impressione iniziale fu la stima che queste persone avevano per il lavoro ben fatto. Erano così attaccati a quel valore che la loro determinazione e la loro aspettativa contaminò noi tutti, ponendoci da subito l’interrogativo sul come e sul perché non avevamo anche noi così evidente questa posizione umana. La ferita, forse insanabile, che molti di loro si portano era diventata esigenza di rinascita e questa si traduceva nella determinazione a svolgere, ad esempio, le telefonate del call center in un modo che trasformava il tempo della conversazione in opportunità, rendendo così un servizio utile alla vita di tutte e due le persone che dialogavano al telefono.
E’ nata successivamente una collaborazione che coinvolge oggi una trentina di detenuti che sono diventati a tutti gli effetti parte integrante del nostro personale. Esiste uno scambio quotidiano di messaggi, telefonate e email fra la sede di Bologna e “quella” di Padova che regolano lo svolgimento di una gamma di servizi che ora riguardano anche le attività di customer care e che nel prossimo futuro potrebbe estendersi alla parte commerciale attiva.
Sono stato a trovarli qualche giorno fa e il responsabile del call center, che con me è sempre molto generoso di complimenti, mi ricordava quanto avevo scritto a pag. 111 di un mio vecchio libro. Avevo bene a mente quelle parole, ma non le ascoltavo da molto tempo. Una cosa semplice la sua citazione, ma precisa, frutto del desiderio, del bisogno profondo, di prendere tutto sul serio.
D’un tratto ho avuto negli occhi l’infanzia dei miei nipoti e la capacità che hanno i bambini di sapersi concentrare su un particolare traendone tutta la bellezza del mondo. E’ questa leggerezza che pervade l’animo mio e dei miei quando il clangore delle porte di ferro che si chiudono alle nostre spalle ci dice dove siamo arrivati. Ed è di nuovo il portone blindato all’uscita il segnale che questa storia, fatta di rapporti essenziali per la vita che nel lavoro hanno trovato un punto esplicito di consistenza, deve continuare intensificando e estendendo la collaborazione a ulteriori settori professionali e non solo.